Oggi, fare impresa non significa solo vendere prodotti o erogare servizi. Significa assumersi una responsabilità. Di fronte all’ambiente, alle persone, alle regole. E non è più sufficiente dire: “Ci stiamo lavorando”. Serve dimostrarlo. Serve metodo, coerenza, visione. È qui che entrano in gioco le certificazioni ESG.
Questi strumenti, sempre più richiesti, aiutano le imprese a raccontare in modo chiaro e misurabile il loro impegno su tre dimensioni fondamentali: Environment (ambiente), Social (società), Governance (gestione e trasparenza). Non sono semplici etichette, ma scelte strategiche. Servono a costruire fiducia, ad aprire mercati, a ottenere credito, a migliorare la reputazione.
Vediamo insieme quali sono le principali certificazioni ESG, come funzionano e perché, oggi più che mai, ottenere una certificazione ESG può fare la differenza.
Certificazioni rilasciate da enti terzi
Analisi preliminare
Tutto inizia da una presa di coscienza. L’analisi preliminare serve a mappare con lucidità la situazione attuale dell’azienda rispetto ai criteri ESG. Non si tratta solo di raccogliere dati, ma di leggere la cultura aziendale, le pratiche consolidate e le aree trascurate. L’obiettivo è individuare i punti di forza su cui costruire e i punti deboli da trasformare. Questa fase permette di definire un perimetro d’azione concreto e realistico, evitando approcci generici.
È anche un momento chiave per allineare la direzione aziendale: tutti devono essere consapevoli di cosa comporta il percorso. Senza una fotografia iniziale chiara, il rischio è quello di certificarsi “per forma” senza ottenere benefici sostanziali. L’assessment iniziale è, a tutti gli effetti, il primo atto di responsabilità.
Raccolta e verifica dati
In questa fase il percorso entra nel vivo: si misurano gli impatti reali dell’azienda. Si parte dai dati ambientali – consumi, rifiuti, emissioni di gas serra, approvvigionamento energetico – fino ad arrivare ai temi sociali e organizzativi. Vengono valutate politiche interne, relazioni con i dipendenti, inclusione, formazione, equità. Anche la struttura di governance viene esaminata: codici etici, meccanismi di controllo, trasparenza decisionale. Tutto viene tradotto in indicatori oggettivi, comparabili e confrontabili. Questo passaggio è cruciale perché rende visibile ciò che spesso è implicito, e aiuta a capire dove agire prima. I dati non servono solo per ottenere la certificazione, ma anche per impostare obiettivi futuri e comunicarli agli stakeholder in modo chiaro e credibile.
Audit interno ed esterno
L’audit è il momento della verifica: è qui che si mette alla prova la coerenza tra ciò che l’azienda dichiara e ciò che effettivamente pratica. L’audit interno serve a prepararsi, correggere eventuali lacune e testare i processi. Quello esterno, condotto dall’ente certificatore, segue criteri stringenti: esamina documenti, visita i siti produttivi, incontra i referenti, verifica procedure. È un confronto professionale, ma anche culturale. L’obiettivo non è “superare l’esame”, ma migliorare. Ogni audit serio fornisce feedback utili per progredire. In molti casi, questa fase genera consapevolezza e coinvolgimento tra i collaboratori, stimolando una nuova attenzione interna ai temi ESG. Un audit ben gestito, inoltre, rafforza la credibilità dell’impresa agli occhi di clienti e partner.
Rilascio della certificazione e follow-up
Il rilascio del certificato è un traguardo importante, ma non è la fine del percorso. Nella maggior parte dei casi, l’ente certificatore suggerisce anche un piano di miglioramento, con indicatori da monitorare e scadenze da rispettare. Questo approccio progressivo è ciò che rende la certificazione ESG uno strumento strategico e non solo formale. Il follow-up serve a mantenere alta l’attenzione nel tempo, aggiornarsi sugli sviluppi normativi e continuare a crescere. Le aziende che affrontano il post-certificazione con serietà, riescono a trasformare gli obblighi in vantaggi competitivi, costruendo una cultura aziendale solida, trasparente e responsabile. La vera forza della certificazione ESG non sta nel bollino, ma nel processo trasformativo che innesca all’interno dell’organizzazione.
Strumenti per la rendicontazione: quando la trasparenza è sostanza
Global Reporting Initiative (GRI)
Il Global Reporting Initiative GRI è tra gli standard più diffusi al mondo. Aiuta le aziende a mettere in ordine i propri dati, a leggere i propri impatti ambientali e sociali con occhi nuovi, e a costruire report trasparenti e credibili. Non è solo un esercizio burocratico: è un modo per capire meglio come si lavora davvero.
Con il GRI, le aziende possono:
- monitorare le emissioni di gas serra;
- misurare l’utilizzo di risorse;
- migliorare la relazione con gli stakeholder;
- rafforzare la reputazione aziendale.
Molte grandi imprese italiane, come ENEL, Leonardo o Moncler, già rendicontano secondo GRI, integrandolo nei loro bilanci integrati annuali.
Sustainability Accounting Standards Board (SASB)
Il Sustainability Accounting Standards Board, noto anche come SASB, nasce per avvicinare la sostenibilità al linguaggio economico-finanziario. Offre linee guida per settori specifici, aiutando le imprese a collegare le proprie performance ESG ai risultati economici. È molto utilizzato dalle aziende quotate, tra cui Intesa Sanpaolo e Ferrari.
ESRS – Standard europei di sostenibilità
Con la nuova CSRD, l’Europa ha introdotto gli ESRS: standard ufficiali per la rendicontazione non finanziaria. Le aziende devono adeguarsi, e molte dovranno iniziare a farlo già nel prossimo bilancio.
Gli ESRS sono complessi, ma utili: creano una base comune e rendono confrontabili i dati ESG tra imprese diverse. Alcune realtà del manifatturiero, come Luxottica, stanno già lavorando in anticipo per allinearsi a questi standard.
Rating ESG: non un bollino, ma un’indicazione
Accanto alle certificazioni esistono strumenti di valutazione, detti rating ESG. Non rilasciano attestati, ma attribuiscono punteggi utili per clienti, partner, finanziatori.
CDP (Carbon Disclosure Project)
Si concentra sulle emissioni di carbonio e sull’impegno verso il cambiamento climatico. Volontario, ma sempre più considerato negli investimenti internazionali. IKEA, ad esempio, pubblica i propri dati ambientali attraverso CDP.
Certificazioni tematiche: ambiente, persone, governance
Non tutte le aziende seguono lo stesso percorso. Alcune partono da una singola area, spesso quella dove hanno più impatto o più margine di miglioramento.
ISO 14001 – Gestione ambientale
Certificazione tecnica, ma con impatti pratici. Serve per ridurre sprechi, ottimizzare i processi e gestire gli impatti ambientali. Uno dei suoi focus principali sono le emissioni di gas serra. Aziende come Elica o BASF l’hanno adottata per rendere i propri stabilimenti più sostenibili.
SA8000 – Responsabilità sociale
Parla di persone. Diritti, sicurezza, dignità. Con la SA8000, l’azienda dimostra un impegno chiaro e misurabile verso la responsabilità sociale. Migliora l’ambiente di lavoro e rafforza il legame con il territorio. Alcune cooperative sociali italiane e aziende come Coop Italia utilizzano questo standard da anni.
ISO 37001 – Anticorruzione
Un tema spesso trascurato, ma cruciale. La ISO 37001 aiuta le imprese a dotarsi di strumenti per prevenire comportamenti illeciti e rafforzare i meccanismi di governance interna. È già stata adottata, ad esempio, da Terna e altre aziende quotate.
Altri percorsi possibili
B Corp
Essere B Corp significa dichiarare che l’impresa esiste per generare anche un impatto positivo, non solo economico. È una scelta culturale. In Italia ci sono oltre 200 B Corp: tra le più note ci sono Davines, Fratelli Carli e Aboca.
EMAS
Uno schema europeo, che integra la ISO 14001. Richiede una dichiarazione ambientale pubblica, verificabile. È adatto a chi vuole fare della trasparenza un tratto distintivo. Tra le imprese che aderiscono a EMAS ci sono diversi enti pubblici, ma anche aziende come Illycaffè.
Come scegliere il percorso giusto
Non tutte le imprese hanno le stesse esigenze. Ecco perché ottenere la certificazione ESG richiede prima una riflessione interna.
Può essere utile partire da un’analisi: quali sono i rischi? Dove creiamo valore? Dove possiamo migliorare?
E poi decidere: chi lavora in filiera può iniziare da un rating come EcoVadis. Chi punta a un miglioramento strutturale, può adottare ISO 14001. Chi vuole rendere visibile l’impegno sociale, può orientarsi su SA8000.
Il processo di certificazione è anche un percorso di consapevolezza. Aiuta le aziende a capire meglio se stesse, a prendere decisioni più lucide e a comunicare con maggiore credibilità.
Nel 2025, parlare di sostenibilità senza azioni concrete non basta più. I mercati, le persone e le istituzioni vogliono vedere coerenza. Le aziende devono essere pronte. Non solo per rispettare le regole, ma per restare competitive, attrarre talenti e costruire relazioni solide.
Ottenere una certificazione ESG non è un punto di arrivo. È un modo per prendersi cura del futuro della propria impresa.
Perché oggi, più che mai, la differenza tra un’azienda qualsiasi e un’impresa autorevole si misura nei fatti.